In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano. (Mt 12, 46-50)

Gli ultimi capitoli del libro del Siracide sono riservati all’elogio dei grandi di Israele, “degli uomini illustri” così li chiama. Vengono presentati uno alla volta, da Enoch a Noè fino ai re prima dell’esilio e di ognuno si elencano le grandi cose che hanno fatto, il loro zelo, la loro fede, le loro opere. Poi si legge questo versetto: “Ma superiore ad ogni creatura vivente è Adamo” (49,16). Per la Bibbia il più grande e illustre degli uomini è colui che ha peccato, il ribelle. Per Dio la grandezza non sta in quello che facciamo, ma nel progetto che Lui ha verso di noi. Grandissima la fede di Abramo, ma più grande è la sua decisione di creare l’uomo a sua immagine e somiglianza. Grande è la fedeltà di Noè, l’unico giusto in una terra di peccatori, ma più grande è la giustizia di Dio su Adamo. E’ molto più grande il suo perdono che le nostre grandi opere.

Il brano delle tentazioni è collegato dall’avverbio “allora” all’episodio del Battesimo di Gesù nel Giordano, che si conclude con la voce dal cie­lo: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto” (Matteo 3,17). Gesù viene quindi condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato immediatamente dopo questa manifestazione di compiacimen­to del Padre. Egli non si trova allora nel deserto per caso, né vi si reca per sua scelta, ma piuttosto obbedisce ad una precisa volontà dello Spi­rito, che vuole che il Figlio sia tentato dal diavolo. Alla luce di ciò il com­piacimento del Padre dopo il Battesimo acquista un significato ancora più grande, in quanto precede il superamento delle ten­tazioni. La manifestazione di compiacimento, infatti, avvenendo prima, mostra che l’abbraccio del Padre nei confronti del Figlio, e di tutti i suoi figli, prescinde dalle buone azioni, dai successi (sia pure spirituali) ed è prima di tutto una scommessa sull’uomo nel quale il Padre investe la sua stessa credibilità. La stessa scommessa possiamo pensare che il Padre fac­cia quotidianamente su ciascuno di noi, perché nessuno si perda, considerando ogni nostra caduta non un’offesa, come una vi­sione moralistica e devozionista ci ha abituato a considerare, ma come una sua stessa sconfitta, dolorosa in virtù dell’amore nei nostri con­fronti. Perché allora lo Spirito conduce Gesù nel deserto, perché vuole che sia sottoposto alle tentazioni? Una prima considerazione che possiamo senz’altro trarre da questo episodio è che il Padre vuole mostrare ad ogni uomo soggetto alla tentazione del male che, anche indipendente­mente dall’esito della prova e infatti anche prima di conoscerne l’esito, Egli è vicino a quell’uomo, pronto a sorreggerlo con il suo sguardo be­nedicente.

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