1. Una vocazione speciale
C’è sicuramente una domanda che quasi tutti ci portiamo dentro: “Io sono chiamato a far parte di questa esperienza?”, “Io devo far parte delle cellule”?
Una risposta superficiale potrebbe essere che tutti coloro che hanno incontrato Gesù possono far parte della cellula, ma la realtà non è così banale.
In maniera più approfondita si potrebbe dire che ne deve far parte chi, dopo aver avuto un’esperienza di fede, non vive situazioni che fanno preferire altri percorsi. Un esempio? Un tossicodipendente che incontra Gesù è più opportuno che scelga una comunità di vita piuttosto che una cellula. Ma la risposta più vera è ancora più profonda. Proviamo a rispondere.
Qualunque realtà ecclesiale, qualunque gruppo di persone che faccia parte della Chiesa ha due obbiettivi comuni con tutte le altre esperienze cristiane:
– amare Gesù;
– amare ogni uomo.
Non esiste percorso comunitario cristiano che non si prefigga questi scopi. Tutte le comunità cristiane desiderano crescere nell’amore per Dio e in quello per i fratelli. Forse che il fine dei frati francescani o delle suore del Sacro Cuore non è amare Gesù e i fratelli? Può essere che il cammino proposto da una parrocchia non abbia come obiettivo quello di crescere nell’amore?
Ma c’è un terzo fine che, invece, è specifico di ogni realtà. Potremmo chiamare questo terzo fine “il carisma” di quel gruppo, il suo “specifico”, ciò che in qualche modo appartiene solo a quel gruppo e lo distingue dagli altri.
Ad esempio le suore di Madre Teresa, le Missionarie della Carità, hanno come obiettivo aiutare i più poveri tra i poveri; i frati domenicani la predicazione, i salesiani la formazione umana e spirituale dei giovani, il movimento dei focolari l’unità e così via…
E a noi il Signore quale compito affida? Qual è il nostro terzo obiettivo?
A noi affida il compito di portare Gesù alle donne e agli uomini del nostro tempo e del nostro territorio. Noi esistiamo per rispondere a questa esigenza del cuore del Padre.
Nel cuore di Dio ci sono un desiderio e una sofferenza: la sofferenza è dovuta al fatto che alcuni non lo conoscono e dunque vivono nell’infelicità, il desiderio è che le persone che ci vivono accanto – quelle del nostro oikos – lo conoscano e siano felici. Per questo Egli cerca discepoli di suo Figlio Gesù disposti a dedicarsi a questa missione. Questa è la vocazione del membro di cellula.
Riassumiamo ancora una volta le tre caratteristiche che la definiscono:
- amare Gesù;
- amare gli altri uomini;
- evangelizzare i membri del nostro oikos.
Chi sente che non ha interesse per i primi due fini non è un vero cristiano e perciò deve preoccuparsi della propria fede. Se invece è il terzo fine che non gli appartiene, anche dopo qualche anno di cellula, non deve temere di lasciare questa esperienza per trovare un cammino più adatto a sé. Ma se in te vive il desiderio di amare Dio, i fratelli e di far conoscere Gesù alle persone che ti vivono accanto, allora sei nel posto giusto.
2. Cosa significa per noi evangelizzare?
Il titolo di questo paragrafo pone una questione che è per noi fondamentale e che scegliamo di spiegare facendo riferimento ad un testo così prezioso che possiamo dire essere a fondamento della nostra esperienza: Evangelii nuntiandi, esortazione apostolica di Paolo VI scritta nel 1975 al termine di un sinodo sul tema dell’Evangelizzazione.
I Testimoni di Geova evangelizzano con il loro “porta a porta”? Se la risposta è “sì”, almeno nel metodo, chi vuole evangelizzare deve fare come loro?
Il cristiano che apre un ospedale per i poveri evangelizza? Sicuramente! Siamo chiamati anche noi ad aprire ospedali?
«Nel nostro secolo, contrassegnato dai mass media o strumenti di comunicazione sociale, il primo annuncio, la catechesi o l’approfondimento ulteriore della fede, non possono fare a meno di questi mezzi» (EN 45). Dunque, per evangelizzare dobbiamo aprire una televisione?
Tutte queste azioni e questi metodi sono “evangelizzare”, ma il membro di cellula ha un suo modo specifico di farlo (il che non deve escludere che un giorno possa fare qualcosa del tipo detto sopra).
Evangelizzare è dunque una parola molto ricca, dobbiamo specificare bene cosa si intenda tra noi quando la usiamo.
Il tutto è ancora più articolato perché per noi l’“evangelizzazione” è un’opera che comprende più aspetti: ora li elenchiamo poi li spiegheremo.
Per un membro di cellula l’evangelizzazione è l’insieme di preghiera, servizio, condivisione, spiegazione, affidamento, invito in cellula.
Possiamo paragonare il significato della parola evangelizzazione ad una Chiesa: essa è una, ma composta di molte parti come il presbiterio, il coro, la navata principale, le cappelle, il fonte battesimale…. Così quando usiamo il termine evangelizzare intendiamo un insieme di azioni, tutte facenti parte del percorso di scoperta della fede.
EVANGELIZZARE = PREGHIERA + SERVIZIO + CONDIVISIONE + SPIEGAZIONE + AFFIDAMENTO + INVITO IN CELLULA
Evangelizzare è in primis pregare. È nella preghiera che si riceve l’Amore per amare. Ricordiamolo sempre: ogni volta che preghiamo annunciamo il Vangelo, anche e soprattutto se non ci vede nessuno. Gli inviti della Scrittura alla preghiera non mancano: «pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie; questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi» (1Tes 5,17-18) . Gesù stesso era un uomo di preghiera: «Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava» (Mc 1,35). Il verbo pregare compare tantissime volte nel Vangelo, con una frequenza molto superiore all’Antico Testamento. Pregare è il fondamento di tutto: pregare nel segreto (cfr. Mt 6,5) e pregare con i fratelli (cfr. At 1,14). Leggere una volta i quattro Vangeli e sottolineare tutti gli insegnamenti sulla preghiera e le volte che Gesù ha pregato… è già una bellissima preghiera.
Evangelizzare oltre che pregare è servire. È dentro il servizio che spesso si rende la testimonianza personale, che si mostra la coerenza tra la propria vita e la fede che si professa. «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (EN 41), scriveva Paolo VI. Colui che ha desiderio di evangelizzare le persone che gli vivono accanto ogni giorno sa che gli altri osservano se la sua vita è coerente con il messaggio che annuncia e se non lo è egli non sarà credibile.
Immaginiamo un uomo che vuole condurre a Gesù un suo collega di lavoro: dovrà essere affidabile, onesto, con una vita bella, dovrà essere capace di ascolto, di farsi compagno di viaggio e sostegno nelle difficoltà. Se la preghiera mette amore nei cuori di chi prega, il servizio è il modo per riversarlo sui fratelli che ci vivono accanto. Questo per noi è portare il Vangelo.
Evangelizzare è condividere. Con questa parola intendiamo il momento in cui raccontiamo la nostra personale esperienza di Gesù a quelle persone che abbiamo amato nel segreto della preghiera e prestando loro il nostro servizio. Noi non parliamo di Gesù al primo che incontriamo, perché Lui è la nostra perla e noi la custodiamo gelosamente (Cfr. Mt 7,6), ma ad alcuni e al momento opportuno non ci vergogniamo di farlo. Senza questo “raccontare” la nostra esperienza intima e personale dell’incontro con Gesù, la preghiera e il servizio non raggiungeranno il fine: la preghiera e il servizio senza la condivisione non portano a Gesù. Scrive Paolo VI: «Anche la più bella testimonianza si rivelerà a lungo impotente, se non è illuminata, giustificata,… esplicitata da un annuncio chiaro e inequivocabile del Signore Gesù. La Buona Novella, proclamata dalla testimonianza di vita, dovrà dunque essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita. Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati» (cfr. EN 22).
Evangelizzare è spiegare, cercare di rendere ragione della gioia che ci abita (cfr. 1Pt 3,15) a coloro con cui abbiamo condiviso il rapporto che c’è tra noi e Gesù. Non possiamo pretendere che le persone davanti alla nostra testimonianza di vita e alla nostra condivisione immediatamente accolgano Gesù senza prima fare un momento di chiarezza nella loro mente. Forse la persona che Gesù ci ha messo accanto e alla quale abbiamo condiviso la nostra personale esperienza di fede ha da sempre creduto in un altro dio, oppure ha una brutta esperienza di fede alle spalle che la porta a dubitare. Per questo c’è bisogno di un tempo per spiegare, anzi di un momento che prima ancora è un tempo per ascoltare, aiutare a elaborare e comprendere.
A volte ingenuamente pensiamo che questo sia il passaggio più semplice dell’evangelizzazione, che non comporti la fatica di servire, ma in realtà per rispondere alle domande che immancabilmente ci verranno poste bisogna avere risposte “corrette” e non scontate e banali. Questo momento richiede dunque un impegno costante di approfondimento della fede dell’evangelizzatore.
Nemmeno la nostra capacità di ascolto è scontata: «Abbiamo bisogno di esercitarci nell’arte di ascoltare, che è più che sentire» (Papa Francesco, EG 171).
Evangelizzare è godere del fratello, o della sorella, che dopo aver fatto chiarezza dentro di sé si scopre abitato da una Presenza che sconvolge, che cambia tutto senza apparentemente modificare nulla. È rimanere stupiti di fronte a un evento sempre imprevedibile che segna un prima e un dopo nella vita di quella persona.
Solo dopo queste “tappe”, e a questo punto del cammino, evangelizzare è rivolgere l’invito a vivere l’esperienza della cellula, salvo che motivi particolari non lo sconsiglino.
L’evangelizzatore che partecipa alla cellula compie tutto questo percorso condividendolo con i membri, per godere del loro supporto nel servizio, dei loro consigli su come rispondere bene, ma soprattutto della loro preghiera.
DOMANDA: PERCHÈ SEI IN CELLULA?